Sulle orme di Gengis Khan

Alla scoperta della Repubblica Mongola, tra foreste e deserti
dove il tempo sembra essersi fermato

Peace Times 11

Il monastero di Amarbayasgalan, ricostruito nel 1993 da Guru Deva

Nella capitale Ulan Bator, visita al Ganden Choeling ornato dai Buddha del mitico scultore Zanabazar

Nei Gobi, i 108 stupa bianchi che circondano il tempio di Erdene Zu. A Darhan, il grande monastero di Guru Deva

 

Completamente racchiusa tra Cina e Russia, la Repubblica Mongola - detta Esterna per distinguerla da quella Interna, che è parte integrante della Cina - si è staccata dall’Unione Sovietica all’inizio degli Anni Novanta, diventando uno stato indipendente. Ma la sua peculiare posizione geografica e la ancora scarsissima presenza industriale la rendono tuttora completamente dipendente dalla Russia per l’approvvigionamento di combustibile, zucchero, quaderni, pneumatici...

Se il vostro pullman ha un guasto, non è detto che l’autista troverà il pezzo di ricambio necessario; e non stupitevi se il ristorante dell’hotel vi serve per tre giorni di fila lo stesso menu.

Può anche accadere che, benché in Mongolia ci siano più mucche che abitanti, nella capitale Ulan Bator manchino il latte o il burro. Il motivo è semplice: non sono arrivati in città perché mancava la benzina per trasportarli in camion dalle campagne.

Nei pochi negozi, non è raro vedere lunghissime code di gente che cerca di accaparrarsi qualche particolare articolo appena arrivato e destinato a sparire di lì a poco.

La terra di Gengis Khan, eroe nazionale, comunque, è un paese incantevole, dal punto di vista naturalistico come da quello spirituale.

I due milioni di abitanti sono sparsi su un territorio vasto cinque volte l'Italia, diviso geograficamente in due grandi aree.

Al Nord, la zona delle colline e delle montagne è ricoperta da foreste e pascoli sterminati, punteggiati dalle «yurte», le tende circolari dei pastori nomadi, e da un’immensa quantità di capi di bestiame, da cui i mongoli ricavano cashmere di pregio, cuoio, latte, burro e un ottimo yogurt.

La bellezza di questi pascoli - percorsi dai mongoli a cavallo, con la proverbiale abilità che li fa cavalcare a pelo a velocità sfrenata - ha ispirato affascinanti canti popolari, che i pastori cantano accompagnandosi con strumenti tradizionali, tra i quali spicca una sorta di balalaika.

Al Sud, c’è un’immensa area semidesertica, il mitico deserto dei Gobi, in cui molti situano la dimensione terrena di Shambala, la Terra Pura ricercata invano da tanti viaggiatori, accessibile solo agli animi senza macchia.

Qui si trova uno dei più antichi monasteri della Mongolia, Erdene Zu, circondato da 108 stupa bianchi.

La tradizione spirituale della Mongolia è in tutto e per tutto uguale a quella buddista del Tibet. L’intensa vita religiosa, animata fino agli inizi del secolo da un grande numero di monasteri, fu bruscamente spezzata circa ottant’anni fa dalle distruzioni compiute dai comunisti russi. Pochissimi templi furono risparmiati.

Soltanto nell’ultimo decennio, nella grande fatica dell’indipendenza ritrovata, i mongoli hanno potuto riscoprire anche la libertà religiosa: i monasteri rimasti hanno cominciato velocemente a ripopolarsi e in molte zone del paese sono state avviate opere di ricostruzione e restauro.

Per finanziare i lavori di ricostruzione dei monasteri, si fanno collette che riducono a zero i già magrissimi salari (dieci dollari o poco più al mese: la moneta nazionale, il Tugrik, non vale quasi la carta su cui è stampata). A volte, più semplicemente, si pianta una «yurta» tra le rovine del monastero.

Il viaggio inizia a Ulan Bator, la capitale con vecchi palazzi in stile sovietico e con monumentali viali. Qui è sopravvissuto alle distruzioni il monastero di Ganden Choeling, dove è possibile ammirare splendide opere sacre, in particolare i Buddha in bronzo di Zanabazar. Il mitico scultore del XVII secolo aveva studiato nei monasteri del Tibet imparando le tecniche dell’arte sacra che poi reinterpretò con una finezza straordinaria.

A Ulan Bator si può assistere anche a spettacoli teatrali in costume, in cui non mancano i tradizionali numeri di contorsionismo.

Si prosegue tra montagne e pascoli verso la seconda città della Mongolia, Darhan: dietro l’ennesima curva improvvisamente si staglia la mole del monastero di Amarbayasgalan. È un' enorme costruzione dai tetti a pagoda, circondata da mura rettangolari. Dopo quasi settant'anni di abbandono, un’imponente opera di restauro è stata avviata sotto la guida del grande lama ultraottantenne Guru Deva nel 1993.

E qui è possibile sperimentare la vera vita dei mongoli: si dorme nelle «yurte», che il monastero ha attrezzato per i visitatori, e ci si risveglia circondati dalla natura ancora incontaminata e immersi nei canti di preghiera dei monaci.

Enrica Mazzi

 

Partenza da Mosca o da Pechino

Il viaggio - La capitale, Ulan Bator, è raggiungibile in aereo da Mosca o da Pechino. Oppure, per i più coraggiosi, in treno, sempre da Mosca o da Pechino, con la mitica Transiberiana.

Il visto - In Italia non ci sono ambasciate Mongole e quindi per il visto è necessario rivolgersi all'Ambasciata Mongola con sede a Ginevra (Svizzera).

La profilassi - Non è richiesto nessun tipo di vaccinazioni.

La stagione - Il clima è freddo: nel mese più caldo, luglio, si raggiungono i 20 gradi, 30 nella zona del deserto dei Gobi. I mesi migliori per visitare la Mongolia sono quindi luglio e agosto ed è necessario comunque portare con sé abiti pesanti

La valuta - La valuta locale è il tugrik, che può essere ottenuta soltanto sul posto cambiando dollari americani.

e.m.

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