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In India, la
scorsa estate, in soccorso dei più poveri e anziani. |
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di Sharon Dawson Dopo 29 ore di volo, 46 di un viaggio in pullman da far rizzare i capelli sulla testa, un sacco di traballanti risciò e di taxi spericolati (per non parlare dei pidocchi), ho portato a buon fine, per conto dell’associazione Help in Action, il lavoro di distribuire 40 mila dollari a 450 famiglie bisognose in India e in Nepal. Al posto dell'«orribile» té salato al burro (bevuto in grandi quantità da tutti i tibetani) e del dahl bhat (il piatto tradizionale nepalese a base di riso e di lenticchie), finalmente posso rilassarmi con un buon capuccino accompagnato da una brioche e riflettere sulle esperienze degli ultimi due mesi. Nonostante viaggiare in India sia alquanto faticoso, è sempre un grande onore per me distribuire le donazioni degli sponsor occidentali agli «adottati», tibetani e nepalesi, bambini e vecchi, nonchè monaci. E sempre, nel corso di tutti questi anni, ho avuto il piacere di vedere la luce della speranza illuminare molte situazioni disperate. E' difficile descrivere gli sguardi di gratitudine, le lacrime di sollievo, la gioia e la felicità di chi riceve gli aiuti finanziari. Ma è ancora più difficile descrivere la disperazione e la mancanza di speranza di chi ancora aspetta uno sponsor. Sono molte le facce e le situazioni che si sono impresse nella mia mente e nel mio cuore, ma se mi chiedeste quale è stato il momento più memorabile di questo mio recente viaggio (da giugno a settembre '99), vi risponderei senza esitare: spendere i 1000 dollari che mi aveva consegnato Paolo, un ragazzo di Bologna, tra i più «vecchi» sponsor e amici della Help in Action. Poco prima della mia partenza per l'India, Paolo mi ha portato a Milano 1000 dollari da destinare ai 4 abitanti più anziani del villaggio di Hunsur, nel Sud dell'India. La sua idea era di aiutare «una tantum» qualche vecchietto, dando così più tempo all'associazione di trovare per loro uno sponsor permanente. Gli era venuta, qualche tempo prima, guardando nel mio ufficio a Milano le foto di alcuni poverissimi anziani. Non è andata come Paolo ed io avevamo concordato. Ma il risultato è stato comunque straordinario. Innanzitutto, c'era un uomo di 72 anni, Ngawang Sonam, che camminava senza scarpe per percorrere i 12 chilometri che separano Kollegal, il suo villaggio, dallo Tsangpa Khangtsen nel monastero di Sera Me. Camminava e camminava, perchè qualcuno gli aveva detto che io ero lì e che forse avrei potuto aiutarlo. Mentre ascoltavo la sua storia, per cercare di non guardare il suo viso piangente, mi sono concentrata sui suoi pantaloni scoprendo che erano completamente stracciati, e quindi sui suoi piedi scoprendo che erano nudi. La mia coscienza subito mi ha detto che non potevo lasciare quell'uomo prima di averlo aiutato. Così, sui due piedi, ho deciso di dargli 100 dollari e di promettergli che gli avrei trovato uno sponsor fisso. Poi, ho incontrato Yangyi, 85 anni, cieca e costretta a letto, che vive con il marito 87enne, che ancora oggi ogni giorno va a lavorare nei campi per sfamare la famiglia. Gli ho dato 200 dollari, sapendo che quella somma avrebbe migliorato la loro situazione per almeno un anno, permettendo a lui di stare a casa e di prendersi cura di sua moglie. Quindi, il mio traduttore, all'improvviso, mi ha chiesto se lo sponsor di Kensum, una donna di 77 anni, sofferente di demenza senile, aveva inviato altri soldi, perchè la somma che gli avevo affidato per la sua cura due anni fa era ormai più o meno esaurita. A quel punto ho disperatamente controllato la lista degli sponsor e degli adottati e sono stata costretta a rispondere di no. Ricordando la situazione disumana in cui l'avevo conosciuta 4 anni prima, ho deciso che non potevo lasciarla senza trovare una soluzione alla sua situazione: ho rimesso mano ai soldi che mi aveva affidato Paolo e le ho consegnato 100 dollari, con i quali se non altro potrà avere da mangiare per un anno e stare al caldo nei mesi invernali. Così, i quattro più anziani del villaggio di Hunsur non hanno avuto per intero la somma che Paolo aveva deciso. Avrebbero dovuto ricevere 250 dollari ciascuno. Ne hanno presi «solo» 150 a testa, e non gli è parso vero: felici e contenti che qualcuno, dall'altro capo del mondo, avesse deciso di aiutarli. Ripensandoci, mi sento felice e giustificata per aver agito così. Spero solo che Paolo la pensi come me... Valutando questa esperienza, ho realizzato che sarebbe vitale per Help in Action avere un fondo d'emergenza a cui attingere per aiutare immediatamente persone come quelle che sono state aiutate con i soldi di Paolo. Quando incontri un vecchio, malato, senza cibo e senza famiglia, la cosa migliore che ti può capitare è di poter dire di sì alle sue richieste d'aiuto. Perchè per chi è vecchio, l'anno prossimo potrebbe essere troppo tardi. Per informazioni, contattate Help in Action, via Marco Polo 13, 20124 Milano, tel. 02 29000521.
Dalla parte dei bambini c’é la polizia
I bambini di strada di Calcutta (India) non scappano più dai rappresentanti della legge, da quando la polizia della città, per rinnovare la propria immagine e renderla più «amichevole», ha dato il via a un progetto battezzato Nabadisha. Il progetto è stato lanciato lo scorso gennaio con un unico obiettivo: aiutare i bambini diseredati a prendersi cura della loro salute. E dallo scorso luglio, al programma è stato aggiunto un piano educativo. Ora, grazie all'impegno della Child Relief and You (CRY) e della Vikramshila Education Society, 8mila bambini che vivevano per le strade hanno ottenenuto la possibilità di andare a scuola. Le lezioni sono tenute 3 volte alla settimana, prevedono periodici check-up e pranzi con cibo cucinato da varie famiglie della città, proprio all'interno delle stazioni di polizia. Un totale di 37 stazioni di polizia sono coinvolte nel progetto. Dopo un anno di frequenza regolare, è persisto l'inserimento dei bambini nelle normali scuole cittadine. E quindi in corsi di avviamento al lavoro che li tengano per sempre lontano dalla strada e dalla criminalità. |
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