Gangchen: una sfida vinta

Un nuovo monastero, una scuola e una clinica: così il villaggio è tornato a vivere

Peace Times 16

Il monastero di Gangchen

Una veduta del villaggio

L'ingresso al gompa principale,
ancora ingombro
di materiali edilizi

Un particolare della statua di
Pandel Lhamo

Un particolare del gompa principale

Lavoro alle case per i monaci

L’ingresso al cortile del monastero

Un artigiano prepara gli
«Zaza di Lunga Vita»

di Sharon Dawson

«Il viaggio su strada da Kathmandu a Lhasa deve essere considerato un’avventura, non un semplice giro turistico in autobus». L’avviso letto sul depliant dell’agenzia turistica di Kathmandu torna in mente spesso durante i tre giorni di autobus affrontati dal nostro piccolo gruppo, lo scorso giugno, per raggiungere, partendo dalla Valle di Kathmandu, il Tibet, il Tetto del Mondo.

Il viaggio su strada attraverso uno dei territori più alti del mondo e senza dubbio una delle regioni montane più spettacolari e stupefacenti, sebbene molto scomodo e impegnativo fisicamente e psicologicamente, dovrebbe essere fatto, primo o poi, almeno una volta, da tutti quelli che amano il Tibet, la sua gente e la sua cultura millenaria.

Mentre l’autobus combatteva per salire lungo i tornanti dei passi di montagna su una strada che a tratti letteralmente scompariva sotto il fango e le pietre distaccatesi dalla montagna, trasformandosi in un pantano virtualmente impossibile da oltrepassare, abbiamo potuto vedere con i nostri occhi le disperate condizioni di vita della gente che vive nelle aree più remote e povere del Tibet.

Immersi in un paesaggio cui le montagne innevate regalano una bellezza che toglie il respiro, vedendo le tende di fortuna dei nomadi e le casupole fatte di fango e legno o incontrando un pastore tutto solo in un’intera valle, alla guida di uno sparuto gregge di capre e di pecore, tutti ci siamo chiesti come si possa sopravvivere in quelle condizioni.

Qui, a oltre 5200 metri di altitudine, con temperature raggelanti (anche in giugno, che non è certo il mese più freddo dell’anno), la gente prova soprattutto a vivere di agricoltura. Nonostante tutto, - il clima, l’altitudine e il tipo di terreno arido e roccioso - sia contro di loro, giovani e vecchi lavorano l’uno vicino all’altro per cercare di sopravvivere coltivando piccoli appezzamenti di terra. Ma il lavoro nei campi è possibile solo per pochi mesi all’anno: durante il glaciale inverno la gente non può che stare il più possibile riparata.

In queste regioni remote, è normale che un’intera famiglia conviva in un’unica stanza o tenda. Sono molte le famiglie che non posseggono una stufa e nemmeno hanno coperte per proteggersi dal freddo.

Le persone qui sopravvivono senza negozi, senza scuole, senza ospedali, senza riscaldamento, senza elettricità, senza acqua, senza servizi igienici. Talvolta incapaci di produrre abbastanza cibo per sfamarsi.

Alcune famiglie sperimentano situazioni così disperate da decidere di mandare il più grande dei propri bambini a lavorare lontano dal villaggio, a spaccarsi le ossa nella costruzione di nuove strade e di nuovi villaggi.

Quando il nostro autobus si è fermato in un posto che sembrava assolutamente disabitato, all’improvviso dal nulla è apparso un gruppo di bambini: ciascuno con un minuscolo cucchiaio legato al collo con un cordino, e una borsa di stoffa sulla schiena, stanno cercando di trovare qualunque cosa possa avere un valore da portare a casa alla famiglia.

Da Shigatse, la seconda città del Tibet, ci vogliono 40 minuti in jeep per percorrere i 20 chilometri che separano dal villaggio di Gangchen. Lasciandoci alle spalle le strade brulicanti della città, i ristoranti, gli alberghi e i tetti d’oro del monastero di Tashi Lhumpo, siamo tornati ad essere circondati dalla desolazione e dalla povertà che avevamo incontrato nella prima parte del viaggio, subito dopo la frontiera.

Finché abbiamo cominciato a intravedere il monastero di Gangchen dalla strada principale. Proseguendo e avvicinandoci ad esso sia rimasti colpiti dalla grandezza della costruzione realizzata in legno, pietra e cemento e completamente ultimata. Arrivandogli ancora più vicino, abbiamo potuto notare le decorazioni multi-colori, le tende bianche e blu appese alle porte in legno scolpito e alle cornici delle finestre e sul tetto i pinnacoli color oro e le bandiere di preghiera che sventolando diffondono il potere dei mantra in tutte le direzioni.

Nelle immediate vicinanze del monastero continua a fervere il lavoro: tra canti e risate, più di 90 persone sono ancora impiegate per costruire le strutture resistenziali dei monaci, che ora vivono in condizioni di inaudito squallore; mentre l’acqua necessaria a impastare il cemento viene portata fin qui con un camion dentro a otri di stoffa. Di sicuro, ancora per qualche tempo lo spiazzo davanti al monastero continuerà ad assomigliare a un cantiere.

 

A 40 minuti di jeep da Shigatse
alla scoperta di un «miracolo» umanitario
Povertà e desolazione
si trasformano in prosperità e gioia

 

Dai gradini centrali che salgono al monastero abbiamo ammirato i dipinti che decorano i muri dell’ingresso alla sala principale: i monaci-artisti del monastero di Tashi Lhumpo vi hanno magistralmente riprodotto immagini tradizionali, incluse quelle dei Re delle Quattro Direzioni e della Ruota della Vita.

L’appena ultimata sala di preghiera, una vera festa di colori fonte di grande suggestioni per i sensi, ora è completamente adornata con dipinti e statue delle principali divinità tantriche, dei grandi maestri del lignaggio e di importanti figure storiche buddiste. I muri e le colonne sono ricoperte di broccati e di thangke (dipinti sacri su stoffa). La sala è pronta a ricevere i monaci per le sessioni di preghiere: addirittura sono già stati sistemati tavolini tradizionali di legno scolpito e tappeti di lana tessuti a mano oltre che il trono del lama preziosamente intagliato nel legno.

Alla sinistra dell’altare principale, c’è una piccola stanza di preghiera dedicata alle divinità protettrici, che accoglie tra le altre una bellissima statua di Panden Lhamo, la divinità femminile che è considerata la protettrice speciale di Gangchen.

Al primo piano, si sta finendo di arredare la segreteria e alcune stanze da letto: tutto sarà in ordine prima dell’arrivo in estate di Lama Gangchen.

Dal tetto del monastero abbiamo potuto scattare fotografie dei lavori nel loro complesso. Parallelamente alle due ali del monastero, procedendo dal retro verso la parte anteriore, si incontrano due linee di cinque casette in via di costruzione: in accordo con la tradizione tibetana, alcune colonne e qualche cornice di finestra in legno sono già state posizionate. I primi quattro edifici sono costituiti da due parti, ciascuna delle quali è divisa a sua volta in quattro stanze: ogni parte ospiterà due monaci che avranno così a disposizione una cucina, una stanza di studio e una camera da letto ciascuno.

Il quinto edificio di un lato sarà utilizzato come economato e quello dell’altro lato come cucina comune da utilizzare per la preparazione di cerimonie speciali.

Guardando il monastero, orizzontalmente da dove le due linee delle cinque casette finisce, sono state gettate le fondamenta per un altro edificio: avrà 18 stanze suddivise in due ali con al centro il portone d’ingresso all’area del monastero.

Dal tetto abbiamo potuto notare come le nuove costruzioni creino un quadrato tutt’attorno al monastero, una sorta di cortile. I monaci sperano che questo spazio possa essere abbastanza grande per ospitare i residenti del villaggio che in gran numero hanno chiesto a Lama Gangchen di impartire insegnamenti durante la sua prossima visita.

E’ anche speranza di chi vive a Gangchen che l’anno prossimo possa essere concesso al monastero dalle autorità governative il permesso di ospitare un numero maggiore di monaci (oggi sono appena diciannove).

 

Con il nuovo monastero la comunità ha ritrovato
il proprio «cuore», il punto di riferimento
sociale e spirituale di cui ha sofferto
la mancanza per tanti decenni

 

Conclusa la visita al monastero ci siamo recati al vicino dispensario medico. In quest’area priva di qualunque tipo di strutture di base per la cura della salute, la recente costruzione della clinica sta riscotendo un successo enorme. Essendo l’unico centro di assistenza medica è utilizzata sia dagli abitanti di Gangchen che da quelli dei villaggi limitrofi. I dottori tibetani che vi lavorano prestano servizio anche a domicilio per quei malati impossibilitati a raggiungere la clinica. Tre persone, tra cui uno dei monaci di Gangchen, sono attualmente a Shigatse per seguire un corso di formazione di pronto soccorso organizzato dalla Croce Rossa Internazionale.

Accompagnati dai monaci di Gangchen, abbiamo anche visitato il luogo dove verrà costruita una casa per i ritiri spirituali. Il luogo è già stato recintato con un muro e all’interno sono stati piantati gli alberi donati dal governo locale.

Si può dire che l’area di Gangchen è letteralmente rinata in questi ultimi 18 mesi: ora è piena di vita, fervono mille attività e il buon umore generale è palpabile.

La sua «rivitalizzazione» è certamente collegata ai nuovi investimenti e ai nuovi aiuti, ma è anche da attribuire a qualcosa di più basilare. La ricostruzione del monastero sta ridando alla comunità qualcosa di cui per anni ha sofferto profondamente la mancanza: il proprio cuore. Perché proprio come il corpo umano non può vivere senza un cuore che batte con regolarità, la comunità tibetana non può vivere senza stringersi attorno alla struttura del monastero: il monastero garantisce a tutti aiuto, consigli, assistenza, i principi base dell’educazione; è il punto fondamentale di riferimento sociale e spirituale. 

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